La parola agli esperti - PSG 2017

La parola agli esperti

Pediatric Simulation Games 2017

 

Abbiamo intervistato alcuni dei più importanti rappresentanti delle 34 squadre coinvolte per farci spiegare i “segreti” del pronto intervento pediatrico. Uno spaccato di un’Italia sconosciuta, improntata su parametri di massima efficienza e sostenuta da un rigoroso lavoro di squadra

 

Il conto alla rovescia sta ormai per finire: il dipartimento di pediatria dell’Università La Sapienza di Roma ospiterà, dall’8 all’11 giugno, i “Pediatric simulation games”, le prime olimpiadi italiane di pediatria, evento unico nel suo genere che vedrà coinvolte 34 squadre da tutta Italia, rappresentative di altrettante università, per un totale di 250 specializzandi, giudicati nelle procedure di pronto intervento pediatrico da una giuria di tre esperti internazionali. I giovani medici sono stati allenati e “capitanati” da primari e docenti che siamo andati a intervistare per carpire i segreti di un mondo – quello del primo intervento che salva la vita ai bambini – sconosciuto persino agli addetti ai lavori, ma caratterizzato, in Italia, da un particolare livello di eccellenza.

 

Giovanni Federico, Università di Pisa:

“Fondamentale il lavoro di squadra”

“A sorprendermi, nei ragazzi, ogni volta che li vedo impegnati in una simulazione, sono l’impegno e la motivazione che dimostrano sia nell’apprendere le procedure rianimatorie che nel lavoro di squadra”, spiega Giovanni Federico, professore associato della Scuola di Specializzazione di Pediatria dell’Università di Pisa. “Certo, ogni tanto si fa qualche errore, non tanto nell’esecuzione delle procedure quanto, soprattutto all’inizio, se c’è scarsa armonia nel team e quindi la tendenza a lavorare ognuno per sé. Ma nel complesso i risultati sono ottimi. La maggior parte delle simulazioni sono state eseguite su un manichino neonatale ad alta fedeltà, Nina. Potenza dell’informatica, dell’elettronica e soprattutto dell’immaginazione: Nina, si è trasformata in un diciassettenne, tatuato, reduce da un rave party, in coma per overdose da oppioidi. Generalmente il medico italiano non è abituato a lavorare in team. Come già detto, le difficoltà maggiori, soprattutto all’inizio, sono derivate proprio da questa mancanza. Nella gestione dell’emergenza (ma anche nel lavoro quotidiano), capirsi al volo, riconoscere i propri limiti e compensarsi vicendevolmente è essenziale per assistere il paziente nel modo migliore. L’esecuzione di corsi PBLS-D e PALS sono parte integrante del percorso formativo dello specializzando in Pediatria, come stabilito dal decreto ministeriale n. 68. Questi giochi sono molto di più, poiché con il loro effetto coinvolgente e aggregante, stanno diffondendo la cultura della simulazione in modo più profondo. Esercitarsi con continuità utilizzando una metodologia ragionata, secondo linee guida internazionali, sta modificando nella realtà l’approccio clinico all’urgenza/emergenza del personale della struttura. Questo grazie all’impegno di giovani medici in formazione.

 

Vincenzo Tipo, primario del ps dell’ospedale pediatrico Santobono, Napoli:

“In corsia, la vera differenza tra due medici sta nella capacità di saper affrontare l’emergenza”

“Gli specializzandi della Federico II si sono allenati molto in maniera autonoma, si sono organizzati simulando i casi inseriti nel programma dei giochi. In alcune occasioni abbiamo tenuto dei briefings con i seniors che rispondevano alle loro domande e sono stati molto presenti nel pronto soccorso del Santobono dove hanno vissuto la “vita reale” dell’emergenza…. e questo non è male!”, spiega Vincenzo Tipo, professore di pediatria dell’università Federico II di Napoli. “Un episodio in particolare mi ha sorpreso, ma anche lasciato un po’ di amaro in bocca: un pomeriggio i ragazzi sapevano di avere disponibile una auletta ed i relativi manichini nella Clinica pediatrica della Università. Invece, raggiunta l’auletta, hanno trovato tutto chiuso poiché il custode, dimenticandosene, era andato via. Gli specializzandi, senza perdersi di animo, sono andati nella saletta giochi del Day hospital, dove c’erano alcuni peluches e bambole, ed hanno utilizzato questi come manichini. Nello stesso momento i loro colleghi di Padova hanno inviato una foto della loro preparazione in un’aula con i manichini/simulatori avanzati. Tutto è finito in una grande risata. Il napoletano è così: pur tra mille difficoltà arriva fino in fondo e, spesso, meglio degli altri”. Gli studenti di Napoli, racconta ancora il professore, sono entusiasti. “Non me lo aspettavo. Studiano, chiedono, partecipano, sono presenti in pronto soccorso h24. Tutto questo entusiasmo ha coinvolto anche noi ed è stato un bene poiché ha stimolato l’aggiornamento e il ritorno allo studio intensivo. E’ straordinario vedere lo scambio di informazioni tra “giovani”  e “meno giovani”, dove ognuno impara e trasmette qualcosa all’altro. I ragazzi sanno benissimo che è una competizione dove non si vince nulla ma è l’occasione per acquisire le competenze “sul campo” che non vengono insegnate in nessuna università: si impara a superare la paura del “box codici rossi”, anche se non bisogna dare mai nulla per scontato. A me, ancora oggi e dopo 27 anni di servizio, entrare in shock room mi mette ansia….e deve essere così! In sintesi, definirei la nostra una squadra di giovani medici straordinari. Giovani di età ma grandi professionisti. Lungimiranti e intelligenti. Hanno perfettamente capito che, in corsia, la vera differenza tra due medici sta nella capacità di saper affrontare l’emergenza: chi l’affronta con decisione, sangue freddo e competenza sarà il “bravo medico” e chi, invece, si nasconderà e farà trasparire le sue difficoltà e indecisioni rimarrà sempre il “mediconzolo”.  E, oramai, ci sarà spazio e futuro soltanto per i “bravi medici” “.

 

Marcello Lanari, professore associato di pediatria, Università di Bologna:

“Il lavorare in gruppo implica l’aiutarsi reciprocamente, senza un effettivo team leader”

“Una situazione che mi ha colpito – spiega Marcello Lanari, professore associato di pediatria, Università di Bologna  – si è verificata quando, durante una delle prime esercitazioni di simulazione di un gruppo di giovani specializzandi, una di loro ha simulato per la prima volta il ruolo della mamma di un bambino in insufficienza respiratoria. La “mamma”, in relazione alla situazione critica del figlio, era molto agitata e cercava di sollecitare il team di medici a prendere decisioni rapide, mettendo in difficoltà l’organizzazione della squadra di specializzandi, assolutamente impreparati nella gestione del genitore. Quando le manovre ventilatorie sono fallite, la “mamma” è scoppiata a piangere.  L’affiatamento della squadra è fondamentale, proprio come insegna il CRM (CRisis Resource Management): il lavorare in gruppo implica l’aiutarsi reciprocamente, senza un effettivo team leader, ma semplicemente essendo parte di una squadra in cui ciascun componente ha un ruolo ben definito, di assoluta rilevanza e peso di contributo per l’esito positivo nella gestione dell’evento critico. Ognuno infatti è libero di esprimere il proprio autorevole parere in quanto l’Event Manager è un coordinatore e non un capo. Per la vostra struttura partecipare ai giochi significa tanto: verificare le capacità formative della nostra Scuola in questo nuovo ambito, cimentandosi in una sportiva competizione con le altre scuole, incentivando da un lato un senso di appartenenza e di orgoglio nel rappresentare in una leale competizione la propria Istituzione, e dall’altro la condivisione di quelle competenze e di quei valori che sono un bagaglio emotivo e culturale indispensabile per chi ha scelto di fare una professione così bella e complessa quale quella del Pediatra”.

 

Anna Maria Musolino, pediatra del DEA dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma:

“Entusiasmante la loro voglia di mettersi continuamente in gioco”

Le ragazze che parteciperanno ai giochi di simulazione sono specializzande della scuola di specializzazione  del Dipartimento Pediatrico Universitario Ospedaliero (dell’Università degli studi di Tor Vergata e dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù). La loro grande serietà nell’approcciarsi alle simulazioni è stata per me una piacevole sorpresa. Hanno vissuto ogni scenario come se fosse un caso reale, con la stessa tensione e la stessa voglia di arrivare alla risoluzione del caso clinico. Entusiasmante la loro voglia di mettersi continuamente in gioco. Non posso di certo nascondervi i primi ostacoli nell’affrontare i casi clinici, come quando si dimenticavano di chiedere se il paziente respirasse o se avesse il battito cardiaco…. Ma con qualche risata e con lo spirito di sacrificio che le ha spinte perfino ad immolarsi come “manichini” di simulazione credo che abbiano concluso un percorso di cui ritenersi soddisfatte. Difficilmente nella pratica quotidiana dimenticheranno quanto sono importanti le valutazioni cliniche prima della scelta terapeutica. L’affiatamento della squadra, già peraltro ben consolidato, è cresciuto ancora di più. Questo è fondamentale perché rispecchia l’importanza del lavoro del team dell’emergenza nella nostra realtà di tutti i giorni e perchI li rende medici maturi e consapevoli che l’unione fa la forza. I giochi di simulazione vedranno la partecipazione di molte scuole di specializzazione in Italia, sarà per questo un’ importante occasione di confronto nel campo delle emergenze pediatriche e una preziosa opportunità di amicizia per chi condivide una scelta così impegnativa e così bella come quella della pediatria”.

 

Antonio Cualbu, direttore UOC pediatria-Tin, PO San Francesco, Nuoro:

“La partecipazione ai giochi per la nostra struttura significa investire sui giovani”

“In queste ultime settimane abbiamo avuto modo di cimentarci con dei casi simulati a cui hanno partecipato gli specializzandi delle università sarde di Sassari e Cagliari. Sorprende la capacità di apprendimento dei giovani ragazzi e il loro immedesimarsi in situazioni simulate rendendole verosimili. Non ci sono stati errori frequenti, fatta eccezione per la comprensibile limitata esperienza, ed è stato piacevole, alla fine di ogni corso, avere specializzandi che hanno letteralmente accerchiato il direttore del corso per chiedere altre edizioni. L’affiatamento della squadra, oltre a aumentare l’efficacia e l’efficienza assistenziale, riduce le possibilità di errore e rischio clinico. La partecipazione ai giochi per la nostra struttura significa investire sui giovani, il nostro futuro assistenziale, e diffondere la cultura della migliore modalità di apprendimento degli adulti: la simulazione”.

 

Emanuela Piccotti, Dea pediatrico IRCCS Gaslini di Genova:

“Fondamentale avere chiare le capacità e i limiti di ogni componente della squadra, anche dal punto di vista emotivo”

“Entusiasmo e capacità di calarsi con facilità nello scenario, consapevolezza della potenza didattica dello strumento: queste le marce in più che caratterizzano i miei specializzandi”, spiega Emanuela Piccotti, Dea del pediatrico IRCCS Gaslini, Genova. “Il lavoro in team è alla base di una efficiente ed efficace conduzione del caso. La conoscenza reciproca significa avere chiare le capacità e i limiti di ogni componente della squadra anche dal punto di vista emotivo e della possibilità di prestazione. Per noi dell’IRCCS Gaslini la partecipazione della squadra testimonia in particolare la solida collaborazione da anni attiva tra Dea pediatrico e scuola di specializzazione in pediatria dell’università”.

 

Stefano Masi. Direttore del Pronto Soccorso Azienda Ospedaliero-Universitaria Meyer, Firenze:

“Alla base di ogni lavoro ben fatto ci deve essere il divertimento”

“L’impegno e la passione che ci mettono i ragazzi è meraviglioso – spiega Stefano Masi. Direttore del Pronto Soccorso Azienda Ospedaliero-Universitaria Meyer, Firenze – al punto che resta difficile pensare che ci sia un manichino e non un bambino sotto. Certo, il concentrarsi sulle cose più critiche fa dimenticare a volte le cose più banali, ma non accade quasi mai. Ricordo un giorno in cui il team leader urlava a tutti di togliere le mani dal manichino prima di defibrillare, lasciandoci però le sue! Si lavora ma si ride e ci si diverte, anche. L’affiatamento è imprescindibile ed è il motivo principe per cui si fanno le simulazioni, situazioni in cui ognuno dà sé stesso senza sentirsi giudicato dagli altri. Questi giochi per noi sono un’occasione per dare visibilità ai ragazzi che si impegnano tutti i giorni e che meritano anche di divertirsi nel lavoro che fanno, perché alla base di ogni lavoro ben fatto ci deve essere il divertimento, anche se si ha a che fare con la vita e la morte”.

 

Federico Marzona, dottorando di ricerca della Clinica Pediatrica di Udine:

“I giochi l’occasione per approfondire la simulazione e acquisire capacità tecniche superiori”

“La cosa che più sorprende – spiega Federico Marzona, dottorando di ricerca della Clinica Pediatrica di Udine – è la velocità di adattamento e la crescita costante dei ragazzi dopo ogni simulazione. A ogni scenario, volutamente presentato a difficoltà crescente, salta all’occhio il loro miglioramento sia come singoli operatori che come membri di un team, sia da un punto di vista nozionistico che metodologico. Gli errori più frequenti sono spesso legati alle dinamiche del gruppo in una situazione di stress. Com’è ampiamente dimostrato in letteratura, spesso l’errore non dipende da una mancata o imperfetta conoscenza della materia, ma dal fattore umano che in una situazione complessa ci porta a compiere errori che a freddo, seduti comodamente alla scrivania non avremmo mai commesso. Per esempio a volte l’errore è dovuto a una comunicazione incompleta oppure al cosiddetto “errore di fissazione”, per il quale un operatore si concentra su una diagnosi escludendo inconsciamente altre possibilità. L’affiatamento della squadra è, ovviamente, molto importante. Conoscere i colleghi con cui lavoriamo, gli ambiti in cui ciascuno è più o meno portato aiuta a gestire con ordine e metodo lo scenario e la criticità che il paziente presenta (sia nella simulazione che nella vita reale). E’ anche vero che l’affiatamento della squadra non deve essere l’unico obiettivo della formazione mediante simulazione, poiché se queste gare prevedono dei team formati da sei “pediatri”, nella realtà spesso ci troviamo ad operare in team molto più eterogeni, dove sono presenti figure professionali diverse (specialisti, specializzandi, infermieri, consulenti). Nella realtà non è sempre la stessa squadra che “scende in campo” ed è quindi essenziale lavorare sulla capacità del singolo di operare come membro di un team, anche quando gli altri membri del team siano dei perfetti estranei. Alla nostra struttura questi giochi ci forniscono l’occasione per dare avvio e introdurci nel mondo della simulazione. Il Centro di Simulazione ed Alta Formazione presso la nostra Azienda Ospedaliero-Universitaria è stato inaugurato nel febbraio 2016 e dal febbraio 2017 abbiamo acquisito dei manichini dedicati per la formazione pediatrica. I Pediatric Simulation Games ci hanno fornito l’occasione per approfondire la simulazione e per acquisire le capacità anche tecniche nella gestione degli scenari simulati e del debriefing, mettendo in pratica le nozioni teoriche avanzate e le linee guida internazionali che già fanno parte della didattica della nostra Scuola di Specializzazione”.